Il nostro lavoro è fatto di ripetitività, di gestualità ripetute tante e tante volte, di movimenti e azioni sempre uguali, sempre identiche.
Così come il lavoro della mamma. Quante volte ripeterai lavati i denti, mettiti la felpa, comportati bene, non sporgerti, mettiti la felpa, fai da bravo, mettiti la felpa…
Quante volte laverai quel piatto? Quante volte laverai quel pavimento o quante volte rifarai quel letto, prima il lenzuolo e poi la coperta, giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno…
Per un artigiano la ripetitività è d’obbligo. Anche per chi produce pezzi unici lo stesso materiale viene manipolato, tagliato, colorato un’infinità di volte, i gesti si ripetono, giorno dopo giorno. Le superfici su cui lavoriamo vengono ripulite , tanto che la maggior parte dei nostri tavoli mantiene le testimonianze del lavoro che gli è passato addosso.
Quanto questa ripetitività può annoiare? Se non si è portati per questo lavoro, molto presto ci si accorge che la ripetitività ti schiaccia.
E’ come una piccola stanza, per alcuni appare sicura e confortevole, per altri è una gabbia dalla quale evadere il più velocemente possibile.
Per me è una sicurezza, è la mia meditazione. Silenzio assoluto quando lavoro. Non accendo mai la musica, non ascolto mai la tv, se mi si parla, mi infastidisco. Ci sono solo io e la mia mente, che, nella sequenzialità dei gesti ripetuti da anni, trova calma e serenità. Trova, in quella piccola stanza, la propria libertà